SICUREZZA URBANA E MEDIAZIONE SOCIALE

Ai fini della sicurezza urbana l’obiettivo da perseguire con gli abitanti è la partecipazione dei cittadini stessi alla gestione trasformativa dei propri conflitti, conflitti che nascono dalle modalità con le quali essi si approcciano alla soluzione dei propri problemi, dei propri bisogni e anche dei propri interessi di parte.

Uno dei presupposti fondamentali per creare condizioni di sicurezza è l’esistenza di un insieme di azioni, condizioni materiali, percezioni e rappresentazioni individuali che consentono, a singoli e gruppi, di avere la convinzione di essere in grado di fronteggiare un evento che potrebbe minacciarli, e si fonda sulla relazione, sulla rimessa in comunicazione dei soggetti, sulla garanzia dell’esercizio dei propri diritti. Per questo c’è bisogno di una comunità locale, della sua partecipazione, di cittadini che direttamente si fanno carico di azioni tese al miglioramento della qualità della vita. In tale direzione, lo strumento della mediazione sociale sui territori, affiancato in modo sinergico ad una pluralità di altre azioni, sembra essere quello più adeguato ed innovativo, essendo esso stesso fondato su tale principio partecipativo. Il soggetto umano viene reintrodotto nel pensiero sul territorio in quanto primo attore, cittadino titolare di diritti, soggetto attivo, capace di azioni, di progettualità, di strategia.

Le pratiche di mediazione risalgono agli anni ’60 e ’70 negli Stati Uniti e, all’inizio, esse si presentavano come forme di ricomposizione dei conflitti fra singoli individui. In tale ambito la mediazione ha avuto modo di definirsi, costruire la propria pratica, gettare la basi per costituirsi come metodologia. Il mediatore si presenta come soggetto terzo, imparziale, accettato dalle parti in causa; il suo compito non è quello di emettere un giudizio ma di aiutare i contendenti a trovare un accordo che soddisfi ambedue le parti. Dunque mediazione come possibilità di trovare un accordo nel quale alla fine ‘vincono tutti’.

Il primo atto fondamentale consiste nel rimettere in comunicazione i confliggenti, attraverso questo passaggio le parti esprimono il proprio punto di vista e chiariscono i loro reali interessi, soprattutto, sentono quali siano i problemi reali, i sentimenti, gli interessi della controparte. La mediazione crea così uno ‘spazio protetto’, nel quale può maturare una comprensione reciproca e una progettualità condivisa.

Si introduce così una prospettiva di dialogo. Ricostruendo il dialogo nelle sue forme più immediate, attraverso il confronto e lo scambio di opinioni ed esperienze, realizzando l’obiettivo dell’azione costruttiva, si consente una espressione più matura del diritto di cittadinanza. Un diritto che si afferma nella ricerca e nella costruzione di forme di convivenza che partono “dal basso”, dalla prossimità, nei linguaggi più immediati e comprensibili, dando l’opportunità ai cittadini di essere soggetti attivi. È in questo modo che si ha la possibilità di creare un circuito virtuoso tra il cittadino, il territorio, il suo ambiente di vita.

In questa ottica la mediazione sociale territoriale non agisce solo sul terreno della mediazione dei conflitti ma diviene strumento necessario per prassi di integrazione sociale, di community care, di empowerment, di educativa territoriale, di progettazione partecipata, nella convinzione che tali prassi siano funzionali alle politiche di sicurezza urbana, nella misura in cui esse abbiano come obiettivo la creazione di una società decente[1] in cui si lavori per evitare l’umiliazione e per il riconoscimento profondo delle persone.

[1] A. Margalit, La società decente, Guerini Associati, 1998.

“Homo sum, humani nihil a me alienum puto.”

Publio Terenzio Afro