CENTRO INTERDISCIPLINARE

Da ottobre 2013, Aleteia gestisce, su incarico del Ministero della Giustizia-Centro Giustizia Minorile per la Toscana e l’Umbria, il Centro Interdisciplinare di Giustizia Riparativa Minorile, sulla base di un Protocollo sottoscritto con il Tribunale per i Minorenni di Firenze e la Procura presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze.

LA MEDIAZIONE

Un processo, il più della volte formale, con il quale una terza persona neutrale, tenta, attraverso scambi tra le parti, di permettere a queste di confrontare i propri punti di vista e di cercare, con il suo aiuto, una soluzione al conflitto che le oppone” Bonafè-Schmitt.

La mediazione vittima-reo è un processo che offre alle parti offese l’opportunità di incontrare l’autore di reato – minorenne o adulto – in un contesto sicuro e strutturato, con l’intento di responsabilizzare il reo rispetto al proprio comportamento e al contempo offrire supporto e risarcimento alla vittima” Umbreit.

La mediazione è un’iniziazione, è ritualizzata, il che significa che è organizzata e accettata. E’ un atto consensuale che si compie nella speranza di una riparazione, la quale potrà essere ottenuta solo grazie alla ‘liberazione’ resa possibile dalla mediazione. Per trovare il suo vero obiettivo la mediazione deve risalire il corso del tempo per raggiungere l’esperienza delle origini. Proprio come la giustizia essa si articola su un doppio asse: spaziale e temporale” Morineau.

La mediazione è l’agorà, il luogo della parola dove la frattura del reato può essere superata grazie al ‘dialogo’ in cui ciascuno pone l’altro, attraverso la propria ‘esistenza ferita’, di fronte a un’istanza personale” Mazzucato.

Il modello cosiddetto umanistico/trasformativo

Umbreit, a cui si deve la definizione di umanistico, sottolineando, appunto, i caratteri di questo metodo derivati dalla tradizione umanistica, definisce il processo di mediazione come: “un viaggio pacificatore che fa crescere la com-passione, il vigore e la nostre comune umanità”. L’obiettivo della mediazione non è tanto la stipulazione di un accordo formale, ma l’input rivolto alle potenzialità di trasformazione delle parti e delle loro relazioni. Come rileva Bramanti, “il significato del termine trasformation (…), indica primariamente il cambiamento nella coscienza e nel carattere degli esseri umani individuali (…), significa trasformare le persone da esseri dipendenti, concentrati solo su se stessi, in esseri sicuri e self-reliant desiderosi di essere in relazione con gli altri. Si evidenzia in questi autori una presa di distanza dal soddisfaction approach, la soddisfazione dei bisogni può fare stare meglio la gente, al momento, ma solo un cambiamento delle persone, può realmente fare sperimentare una condizione attiva di benessere”.

Baruch Bush e Folder, ai quali si fa risalire formalmente la nascita di questo modello, individuano nell’empowerment e nel riconoscimento dell’altro (recognition) i punti fondamentali su cui lavorare in mediazione. L’empowerment è considerato come la riconsegna alla persona del valore della possibilità e della propria capacità di affrontare le situazioni problematiche; il recognitionè va invece inteso, come dice Ceretti, “come naturale esigenza dei singoli di essere apprezzati, onorati, rispettati, [e] deve essere portato agli esseri umani perché sono umani, indipendentemente da ciò che esso comporta, senza alcun artifizio contrattualistico”. Esigenza di riconoscimento che, nelle dinamiche conflittuali, viene frequentemente ‘calpestata’ e umiliata.

LA MEDIAZIONE NEL PROCEDIMENTO PENALE MINORILE

La mediazione penale è un percorso relazionale tra due o più persone per la risoluzione di un conflitto che, in questo caso, si configura come reato.

Nella mediazione penale minorile, l’asimmetria delle parti (vittima e reo) costituisce un fattore specifico che richiede particolari cautele e tutele a protezione dei soggetti ed una diversificazione degli obiettivi della mediazione.

Per la vittima, che nel processo penale minorile non può costituirsi come parte civile, la mediazione consente di esprimere il proprio vissuto personale rispetto all’offesa subìta, di uscire da un ruolo passivo dando voce e visibilità alla propria identità personale.

Al minore autore del reato, la mediazione permette una responsabilizzazione sul danno causato e sulle possibilità di riparazione: la riservatezza dell’incontro e la separazione dal procedimento penale favorisce l’emersione dei contenuti emotivi legati agli eventi in un contesto relazionale protetto.

Il mediatore ha un ruolo neutrale, di facilitatore della comunicazione oltre che di garante delle regole di interazione verbale, che all’inizio dell’incontro di mediazione vengono prioritariamente esplicitate, condivise ed accolte dalle parti.

L’esito del percorso di mediazione penale, che si può configurare come positivo o negativo, viene comunicato al giudice, senza riferire motivazioni specifiche data la riservatezza dell’incontro. Per esito positivo s’intende una ricomposizione o significativa riduzione del conflitto: in tal caso si prevede la possibilità di definire accordi di riparazione riguardanti interventi diretti alla vittima, compreso il risarcimento, o attraverso lo svolgimento di attività di utilità sociale.

Tale opportunità consente, prescindendo dal giudizio penale, una riparazione delle conseguenze del reato con una diretta valenza restitutiva per la vittima ed educativa per l’autore del reato.

“Homo sum, humani nihil a me alienum puto.”

Publio Terenzio Afro